Se pensi che lo sport sia solo una questione di palle, racchette e sudore, devi fare un passo indietro e guardare il quadro più ampio. Oggi parliamo di sportwashing, o, come a me piace chiamarlo, “la grande lavatrice dello sport”.
Lo sportwashing non è altro che un modo intelligente per dire “ripulisci la mia immagine, per favore”. È una strategia adottata da quei governi, entità o individui che cercano di abbellire la loro reputazione attraverso il coinvolgimento nello sport. Non stiamo parlando di una partita amichevole di calcio in cortile, però. Stiamo parlando di grandi eventi sportivi, di acquistare squadre famose o di finanziare atleti di alto profilo.
Un esempio lampante di sportwashing è quello del Qatar. Questo piccolo paese ricco di petrolio è stato criticato per le sue violazioni dei diritti umani, in particolare riguardo ai lavoratori migranti. Eppure, il Qatar ha investito miliardi per ospitare la Coppa del Mondo FIFA 2022. Attraverso questo evento, il Qatar sperava di presentarsi come un paese avanzato e aperto, cercando di mettere da parte le questioni più spinose.
Un altro caso riguarda l’Arabia Saudita, che ha ospitato eventi come il rally Dakar e il match di boxe tra Anthony Joshua e Andy Ruiz Jr. Questi eventi sono stati visti come un tentativo di distogliere l’attenzione dalle critiche internazionali sulle questioni dei diritti umani nel paese.
E poi c’è la storia del Manchester City. Il club di calcio inglese è stato acquistato nel 2008 da Sheikh Mansour, membro della famiglia reale di Abu Dhabi. Da allora, il club ha speso enormi somme di denaro per attirare giocatori di alto livello e ha avuto molto successo sul campo. Tuttavia, alcuni sostengono che questo sia un esempio di sportwashing da parte degli Emirati Arabi Uniti, un paese spesso criticato per le sue questioni di diritti umani.
Non sono solo i governi a saltare sul carro dello sportwashing. Anche le aziende ci si sono tuffate. Prendiamo ad esempio BP, la compagnia petrolifera che ha sponsorizzato le Olimpiadi del 2012 a Londra e del 2016 a Rio de Janeiro. Alcuni criticano l’azienda per aver usato lo sport per ripulire la sua immagine dopo il disastro petrolifero del Golfo del Messico nel 2010. E poi c’è Gazprom, la compagnia di energia russa, che è uno sponsor chiave della UEFA Champions League e ha stretti legami con squadre come lo Zenit San Pietroburgo e lo Schalke 04. Nonostante le critiche per il suo ruolo nelle tensioni geopolitiche, Gazprom sembra usarlo come un tentativo di sportwashing. Anche nel mondo aziendale, sembra che l’attrazione dello sport come strumento di lavaggio dell’immagine sia troppo forte per resistere.
Certo, tutti amiamo lo sport. È emozionante, unisce le persone e ci dà qualcosa di cui parlare oltre al tempo. Ma è importante ricordare che non tutto quello che luccica è oro. Quando ci godiamo la nostra prossima grande partita, dovremmo anche chiederci: chi l’ha resa possibile? E perché?
Lo sportwashing è una questione complicata, ed è chiaro che ci sono molte opinioni contrastanti. Ma una cosa è certa: come appassionati di sport, abbiamo la responsabilità di guardare oltre i gol, i punti e i trofei, e di considerare l’impatto più ampio del nostro amato gioco.